Alleniamoci tutti a dare più umanità

La protezione della mascherina rende indistinto il profilo del viso: in compenso rende più intenso il linguaggio degli occhi. L’esperienza è scolpita efficacemente nelle parole, rivolte a medici e infermieri, di una signora dimessa dall’ospedale in condizioni di guarigione: «Quando vi incontrerò di nuovo non ricorderò distintamente i vostri volti, ma riconoscerò infallibilmente i vostri occhi». L’esperienza di una nuova profondità dello sguardo che tocca l’anima è confermata, dall’altro lato della frontiera, dalle ripetute dichiarazioni degli operatori sanitari che frequentano da vicino l’emergenza terapeutica più dura: «Il malato in grave affanno è tutto occhi: comunica l’angoscia della solitudine e l’implorazione di una prossimità, ancora più della pur enorme sofferenza fisica». In questo momento, moltissimi di noi sperimentano il dolore lancinante di non poter accompagnare la morte di una persona cara con un ultimo sguardo d’amore. Siamo affidati allo sguardo di qualcuno, che lo porta a destinazione per noi, sopra la mascherina.

Uno sguardo umano cambia la vita – e persino la morte. La città moderna alleva sguardi indifferenti e superficiali, sguardi che irridono scioccamente, sguardi torvi ad ogni empatia. Il virus che ci insidia cerca di approfittarne: ci mette paura dell’altro, insegna a evitare lo sguardo. In una società dell’infotainment parolaio ed esibizionistico come la nostra, dove tutti guardano tutta l’oscenità possibile, e nessuno guarda più l’anima negli occhi, la solitudine ci affonda invisibilmente.

Gesù, nel vangelo, insegna a riconoscere una profondità radicale alla potenza dello sguardo. Lo sguardo non ci esprime soltanto, ci trasforma. Lo sguardo cambia la vita. «Se il tuo occhio è chiaro tutto il tuo corpo sarà nella luce» (Matteo 6, 22). E se il tuo corpo è luminoso «tutto sarà luminoso» (Luca 11, 36). Nella costrizione presente, che ci impone isolamento e distanza, abbiamo l’occasione per allenarci alla ricerca delle sorgenti di luce nelle persone e nelle cose della vita.

Impariamo ad avvolgere di sguardi buoni coloro che sono avviliti dagli ostacoli assurdi che impediscono di ricevere aiuto: con tale intensità che gli azzeccagarbugli sentano che noi siamo testimoni sensibili a ciò che viene fatto al più piccolo tra noi. Impariamo ad apprezzare tutto il lavoro umano nascosto dalle ottuse forme della merce e del profitto: abbiamo cibo, medicine, oggetti utili, perché altri esseri umani – spesso in condizioni difficilissime – si adattano a produrre per noi. Impariamo a guardare la nostra stessa condizione umana, fragile e sensibile, con uno sguardo che le vuole bene e sa commuoversi per essa, chiunque ne patisca le ferite. Il Padre, che vede anche nel segreto, asciugherà ogni lacrima e colmerà di speranza i nostri sguardi buoni. Non uno andrà perduto.

Impariamo a nutrire, ogni giorno, sguardi buoni e diventeremo, ogni giorno, migliori. E anche più belli. Diventeremo fieri di essere umani, e non isterici e incattiviti di non essere sovrumani.

Quando saremo liberi dalla costrizione, sapremo finalmente che fare della libertà: lo stavamo disimparando, ammettiamolo. La prima mossa, a presidio di una comune umanità felicemente ritrovata, sarà perciò questa. Alleniamoci fin d’ora a guardarci tutti, di nuovo, con occhi che comunicano umanità vulnerabile e prossimità disponibile, al di sopra delle mascherine: anche se non ci siamo mai conosciuti, anche se ci sfioriamo a debita distanza. Era tanto che non lo facevamo.

Avvenire
4 aprile 2020