Il 25 aprile siamo partiti in due coppie per la Bielorussia.
L’obiettivo del viaggio era visitare la scuola del villaggio di Paselichi, in provincia di Khoiniki, e i piccoli villaggi dei dintorni che fanno capo alla stessa. Questa è una delle zone più contaminate della Bielorussia, dista infatti 30 km da Chernobyl e solo 10 km dalla “zona rossa”, la zona interdetta perché troppo contaminata dalle radiazioni.
Il 26 aprile, il giorno dell’anniversario dell’incidente di Chernobyl, ci siamo diretti, come da programma, alla scuola di Paselichi.
L’accoglienza è stata splendida e inizialmente anche molto formale. Un comitato di benvenuto composto da ragazzi e alcuni insegnanti in abiti tipici bielorussi, ci aspettava fuori dalla scuola e al nostro arrivo ha prima intonato un canto poi ha recitato una poesia e ci ha offerto un dolce. Dopo le presentazioni la Direttrice ci ha accompagnato a visitare la scuola, grande e tenuta molto bene. I fondi sono pochi ma le persone dei villaggi rendono dei servizi alla scuola prestando la loro opera per i lavori di manutenzione.
Anche gli studenti danno il loro contributo: chi è bravo a disegnare decora le pareti, altri cuciono le lenzuola e le coperte per i bambini che frequentano l’asilo, altri ancora aiutano nelle pulizie. Tutti si prodigano per mantenere la scuola in buone condizioni e si capisce anche il perché: la struttura ospita i bambini in tutto il loro percorso scolastico partendo dall’asilo fino alla conclusione delle scuole superiori, caratteristica non usuale nelle scuole dei villaggi. Inoltre è un punto di riferimento per le famiglie che possono lasciare i bambini in un posto sicuro tutto il giorno. La scuola ha a disposizione un pulmino con cui va a prendere i bambini che abitano lontano al mattino e li riporta a casa nel pomeriggio. Nei villaggi le auto sono molto rare e i mezzi pubblici pochissimi. Lo spettacolo commemorativo dell’incidente di Chernobyl, che ogni anno si ripete in tutte le scuole bielorusse, è stato molto bello e commovente nonostante non capissimo la lingua. Il momento più toccante è stato quando due ragazze hanno letto, con un sottofondo musicale molto cupo e davanti a un pubblico di studenti attenti e rispettosi, dai più piccoli ai più grandi, in silenzio religioso, i nomi di tutti i villaggi che sono morti, perché abbandonati e distrutti a causa della contaminazione dovuta all’incidente nucleare. Tutto ciò a prova che, nonostante siano passati 33 anni, la ferita è ancora aperta. Alla fine della cerimonia, ci siamo recati a visitare le 8 famiglie più bisognose della zona.
Quello che abbiamo visto supera in povertà e desolazione quanto visto in precedenza, nel 2017, e, da quanto ci hanno detto, esistono situazioni ancora peggiori.
Nelle case non c’è l’acqua e alcune non hanno neanche il pozzo all’esterno. In quest’ultimo caso l’acqua viene presa dal pozzo dei vicini. I vetri di molte finestre sono rotti e spesso tenuti insieme da nastri adesivi o sostituititi da teli di plastica. Il pensiero di come possano isolare dalle temperature invernali di -15°C ci ha fatto “rabbrividire”.
In due famiglie abbiamo trovato ragazze disabili che, come è consuetudine da loro, non frequentano la scuola. In questi casi è un’ insegnante che li raggiunge a casa col rischio però di isolarli dai coetanei perché può capitare che nello stesso villaggio non ce ne siano. In una famiglia con tre figli, più uno in arrivo, c’era una bimba di 6 anni che non parlava, probabilmente per un blocco psicologico, e che si occupa della casa, pulendo i pavimenti e lavando i piatti. Abbiamo fatto molta fatica a immaginarcela occupata in queste incombenze, tanto era piccola.
In un’altra casa, se così si può chiamare, vive, con quattro bambini, una famiglia di profughi fuggiti dall’Azerbaijan. Vive lì da 4 anni e ci deve vivere per altri 3 prima di aver diritto ai documenti bielorussi. La casa è in condizioni pessime, una parte del soffitto sembra cadere da un momento all’altro.
In un’altra famiglia con tre 3 figli il disabile era il padre, colpito dalla caduta di un albero mentre era al lavoro. Quando siamo arrivati, la moglie era molto tesa, tremava in modo evidente, ci guardava con due occhi tristi e rassegnati, sembrava una bambina. Veniva voglia di rassicurarla accogliendola in un forte abbraccio. Ci hanno spiegato che si vergognava a farsi vedere in quelle condizioni. Abbiamo cercato di calmarla con sorrisi, carezze e parole, tradotte da una bravissima interprete, ma inutilmente. Nonostante le difficoltà economiche, aveva comprato anche una torta da regalarci. Alla fine dell’incontro, al momento dei saluti, un’ incontrollabile forza ha rotto gli argini dell’imbarazzo.… l’abbiamo abbracciata in un gesto istintivo, umano, che supera ogni confine, per trasmetterle la nostra vicinanza e lei si è sciolta e si è messa a piangere, e noi con lei anche se l’abbiamo fatto solo dopo averle voltato le spalle per dirigerci verso il nostro pulmino.
Il bisogno che le persone, e non solo i bambini, hanno di calore umano è enorme. Per cultura e probabilmente per la situazione di disagio, tendono a chiudersi in sè stessi e a nascondere le proprie emozioni… si spezza il cuore a vederli così. E’ molto importante che i bambini sperimentino un altro modo di relazionarsi, per portare cambiamenti in loro, nelle loro famiglie e, chissà, nel tempo forse anche nella loro società. Una madre su questo ci ha dato conferma, ringraziandoci tanto per aver ospitato una delle sue figlie, soprattutto perché quando è tornata a casa l’ha trovata diversa, più aperta, socievole e solare.
Patrizia e Luca
Gli alunni, la preside e i docenti della scuola di Paselichi insieme a noi 4 italiani dopo lo spettacolo commemorativo. Sullo sfondo la foto della centrale di Chernobyl e i nomi dei villaggi abbandonati e distrutti in seguito alla contaminazione